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Majjhima Nikāya 125 Discorsi medi 125
Dantabhūmisutta il discorso sul livello dei domati
Evaṁ me sutaṁ—Così ho sentito.
ekaṁ samayaṁ bhagavā rājagahe viharati veḷuvane kalandakanivāpe. Una volta il Buddha dimorava vicino a Rājagaha, nel bosco di bambù, il terreno dove gli scoiattoli venivano a mangiare.
Tena kho pana samayena aciravato samaṇuddeso araññakuṭikāyaṁ viharati. In quell’occasione il novizio Aciravata dimorava in una capanna nella natura.
Atha kho jayaseno rājakumāro jaṅghāvihāraṁ anucaṅkamamāno anuvicaramāno yena aciravato samaṇuddeso tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā aciravatena samaṇuddesena saddhiṁ sammodi. Poi il principe Jayasena, mentre faceva una passeggiata, andò dal novizio Aciravata, e ci scambiò saluti.
Sammodanīyaṁ kathaṁ sāraṇīyaṁ vītisāretvā ekamantaṁ nisīdi. Ekamantaṁ nisinno kho jayaseno rājakumāro aciravataṁ samaṇuddesaṁ etadavoca: Una volta che i saluti e le cordialità terminarono, si sedette a lato e disse al novizio Aciravata:
“Sutaṁ metaṁ, bho aggivessana: “Maestro Aggivessana, ho sentito che
‘idha bhikkhu appamatto ātāpī pahitatto viharanto phuseyya cittassa ekaggatan’”ti. un monaco che dimora diligentemente, con fervore, e determinazione può fare esperienza del raccoglimento della mente”
“Evametaṁ, rājakumāra, evametaṁ, rājakumāra. “È vero, principe. È vero.
Idha bhikkhu appamatto ātāpī pahitatto viharanto phuseyya cittassa ekaggatan”ti. Un monaco che dimora diligentemente, con fervore, e determinazione può fare esperienza del raccoglimento della mente”
“Sādhu me bhavaṁ aggivessano yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ desetū”ti. “Maestro Aggivessana, per favore mi spieghi l’insegnamento come l’ha imparato e memorizzato”
“Na kho te ahaṁ, rājakumāra, sakkomi yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ desetuṁ. “Non ne sono competente, principe.
Ahañca hi te, rājakumāra, yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ deseyyaṁ, tvañca me bhāsitassa atthaṁ na ājāneyyāsi; so mamassa kilamatho, sā mamassa vihesā”ti. Poiché se ti spiegassi l’insegnamento come l’ho imparato e memorizzato, potresti non comprenderne il significato, il che sarebbe frustrante e fastidioso per me”
“Desetu me bhavaṁ aggivessano yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ. “Maestro Aggivessana, per favore mi spieghi l’insegnamento come l’ha imparato e memorizzato.
Appevanāmāhaṁ bhoto aggivessanassa bhāsitassa atthaṁ ājāneyyan”ti. Magari comprenderò il significato di ciò che dice”
“Deseyyaṁ kho te ahaṁ, rājakumāra, yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ. “Allora ti insegno.
Sace me tvaṁ bhāsitassa atthaṁ ājāneyyāsi, iccetaṁ kusalaṁ; Se comprendi il significato di ciò che dico, bene.
no ce me tvaṁ bhāsitassa atthaṁ ājāneyyāsi, yathāsake tiṭṭheyyāsi, na maṁ tattha uttariṁ paṭipuccheyyāsī”ti. Altrimenti, ognuno per sé, e non farmi altre domande”
“Desetu me bhavaṁ aggivessano yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ. “Maestro Aggivessana, per favore mi spieghi l’insegnamento come l’ha imparato e memorizzato.
Sace ahaṁ bhoto aggivessanassa bhāsitassa atthaṁ ājānissāmi, iccetaṁ kusalaṁ; Se comprendo il significato di ciò che dice, bene.
no ce ahaṁ bhoto aggivessanassa bhāsitassa atthaṁ ājānissāmi, yathāsake tiṭṭhissāmi, nāhaṁ tattha bhavantaṁ aggivessanaṁ uttariṁ paṭipucchissāmī”ti. Altrimenti, ognuno per sé, e non le farò altre domande”.
Atha kho aciravato samaṇuddeso jayasenassa rājakumārassa yathāsutaṁ yathāpariyattaṁ dhammaṁ desesi. Allora il novizio Aciravata spiegò l’insegnamento al principe Jayasena come l’aveva imparato e memorizzato.
Evaṁ vutte, jayaseno rājakumāro aciravataṁ samaṇuddesaṁ etadavoca: Una volta che ebbe finito di parlare, Jayasena gli disse:
“aṭṭhānametaṁ, bho aggivessana, anavakāso yaṁ bhikkhu appamatto ātāpī pahitatto viharanto phuseyya cittassa ekaggatan”ti. “È impossibile, Maestro Aggivessana, non può essere che un monaco che dimora diligentemente, con fervore, e determinazione faccia esperienza del raccoglimento della mente”.
Atha kho jayaseno rājakumāro aciravatassa samaṇuddesassa aṭṭhānatañca anavakāsatañca pavedetvā uṭṭhāyāsanā pakkāmi. Dopo aver dichiarato che ciò era impossibile, Jayasena si alzò e se ne andò.
Atha kho aciravato samaṇuddeso acirapakkante jayasene rājakumāre yena bhagavā tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā bhagavantaṁ abhivādetvā ekamantaṁ nisīdi. Non molto dopo che se ne era andato, il novizio Aciravata andò dal Buddha, si inchinò, si sedette a lato,
Ekamantaṁ nisinno kho aciravato samaṇuddeso yāvatako ahosi jayasenena rājakumārena saddhiṁ kathāsallāpo taṁ sabbaṁ bhagavato ārocesi. e gli riferì ciò di cui avevano discusso.
Evaṁ vutte, bhagavā aciravataṁ samaṇuddesaṁ etadavoca: Fatto ciò, il Buddha gli disse:
“‘taṁ kutettha, aggivessana, labbhā. “Come potrebbe essere altrimenti, Aggivessana?
Yaṁ taṁ nekkhammena ñātabbaṁ nekkhammena daṭṭhabbaṁ nekkhammena pattabbaṁ nekkhammena sacchikātabbaṁ taṁ vata jayaseno rājakumāro kāmamajjhe vasanto kāme paribhuñjanto kāmavitakkehi khajjamāno kāmapariḷāhena pariḍayhamāno kāmapariyesanāya ussuko ñassati vā dakkhati vā sacchi vā karissatī’ti—netaṁ ṭhānaṁ vijjati. Il principe Jayasena vive nel mezzo dei piaceri dei sensi, godendoseli, consumato dai pensieri per essi, bruciando di febbre per essi, e cercandone avidamente di più. È semplicemente impossibile per lui conoscere, vedere, o realizzare ciò che può essere conosciuto, visto, e realizzato solo attraverso la rinuncia.
Seyyathāpissu, aggivessana, dve hatthidammā vā assadammā vā godammā vā sudantā suvinītā, dve hatthidammā vā assadammā vā godammā vā adantā avinītā. Immagina ci sia una coppia di elefanti, o cavalli, o buoi in addestramento che sono ben domati e ben addestrati. E un’altra coppia non domata e non addestrata.
Taṁ kiṁ maññasi, aggivessana, Cosa ne pensi, Aggivessana?
ye te dve hatthidammā vā assadammā vā godammā vā sudantā suvinītā, api nu te dantāva dantakāraṇaṁ gaccheyyuṁ, dantāva dantabhūmiṁ sampāpuṇeyyun”ti? La coppia ben domata e ben addestrata non eseguirebbe i compiti dei domati e raggiungerebbe il livello dei domati?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore”
“Ye pana te dve hatthidammā vā assadammā vā godammā vā adantā avinītā, api nu te adantāva dantakāraṇaṁ gaccheyyuṁ, adantāva dantabhūmiṁ sampāpuṇeyyuṁ, seyyathāpi te dve hatthidammā vā assadammā vā godammā vā sudantā suvinītā”ti? “Ma la coppia non domata e non addestrata eseguirebbe i compiti dei domati e raggiungerebbe il livello dei domati, proprio come la coppia domata?”
“No hetaṁ, bhante”. “No, Signore”
“Evameva kho, aggivessana, ‘yaṁ taṁ nekkhammena ñātabbaṁ nekkhammena daṭṭhabbaṁ nekkhammena pattabbaṁ nekkhammena sacchikātabbaṁ taṁ vata jayaseno rājakumāro kāmamajjhe vasanto kāme paribhuñjanto kāmavitakkehi khajjamāno kāmapariḷāhena pariḍayhamāno kāmapariyesanāya ussuko ñassati vā dakkhati vā sacchi vā karissatī’ti—netaṁ ṭhānaṁ vijjati. “Allo stesso modo, il principe Jayasena vive nel mezzo dei piaceri dei sensi, godendoseli, consumato dai pensieri per essi, bruciando di febbre per essi, e cercandone avidamente di più. È semplicemente impossibile per lui conoscere, vedere, o realizzare ciò che può essere conosciuto, visto, e realizzato solo attraverso la rinuncia.
Seyyathāpi, aggivessana, gāmassa vā nigamassa vā avidūre mahāpabbato. Immagina ci sia una grande montagna non lontana da una cittadina o un villaggio.
Tamenaṁ dve sahāyakā tamhā gāmā vā nigamā vā nikkhamitvā hatthavilaṅghakena yena so pabbato tenupasaṅkameyyuṁ; upasaṅkamitvā eko sahāyako heṭṭhā pabbatapāde tiṭṭheyya, eko sahāyako uparipabbataṁ āroheyya. E due amici si avviano da quel villaggio o cittadina, dandosi una mano a vicenda a salire sulla montagna. Una volta arrivati, un amico rimane ai piedi della cima, mentre l’altro scala fino a sopra.
Tamenaṁ heṭṭhā pabbatapāde ṭhito sahāyako uparipabbate ṭhitaṁ sahāyakaṁ evaṁ vadeyya: Poi quello rimasto ai piedi dice a quello in cima:
‘yaṁ, samma, kiṁ tvaṁ passasi uparipabbate ṭhito’ti? ‘Amico, cosa vedi lì dalla cima?’
So evaṁ vadeyya: Lui risponde:
‘passāmi kho ahaṁ, samma, uparipabbate ṭhito ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇīrāmaṇeyyakan’ti. ‘Qui dalla cima vedo bei parchi, boschi, prati, e stagni con fiori di loto!’
So evaṁ vadeyya: Ma l’altro dice:
‘aṭṭhānaṁ kho etaṁ, samma, anavakāso yaṁ tvaṁ uparipabbate ṭhito passeyyāsi ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇīrāmaṇeyyakan’ti. ‘È impossibile, non può essere che lì dalla cima vedi bei parchi, boschi, prati, e stagni con fiori di loto’.
Tamenaṁ uparipabbate ṭhito sahāyako heṭṭhimapabbatapādaṁ orohitvā taṁ sahāyakaṁ bāhāyaṁ gahetvā uparipabbataṁ āropetvā muhuttaṁ assāsetvā evaṁ vadeyya: Allora il suo amico scende alla cima, prende l’amico per il braccio e lo fa scalare fino alla cima. Dopo avergli dato un momento per riprendere fiato gli dice:
‘yaṁ, samma, kiṁ tvaṁ passasi uparipabbate ṭhito’ti? ‘Amico, cosa vedi qui dalla cima?’
So evaṁ vadeyya: Lui risponde:
‘passāmi kho ahaṁ, samma, uparipabbate ṭhito ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇīrāmaṇeyyakan’ti. ‘Qui dalla cima vedo bei parchi, boschi, prati, e stagni con fiori di loto!’
So evaṁ vadeyya: L’altro dice:
‘idāneva kho te, samma, bhāsitaṁ—mayaṁ evaṁ ājānāma—‘Ma, proprio ora ho capito che hai detto:
aṭṭhānaṁ kho etaṁ samma, anavakāso yaṁ tvaṁ uparipabbate ṭhito passeyyāsi ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇīrāmaṇeyyakan’ti. “È impossibile, non può essere che lì dalla cima vedi bei parchi, boschi, prati, e stagni con fiori di loto”.
Idāneva ca pana te bhāsitaṁ mayaṁ evaṁ ājānāma: Ma ora dici:
‘passāmi kho ahaṁ, samma, uparipabbate ṭhito ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇīrāmaṇeyyakan’ti. “Qui dalla cima vedo bei parchi, boschi, prati, e stagni con fiori di loto!”’
So evaṁ vadeyya: L’altro dice:
‘tathā hi panāhaṁ, samma, iminā mahatā pabbatena āvuto daṭṭheyyaṁ nāddasan’ti. ‘Ma, amico, era poiché ero ostruito da questa grande montagna che non vedevo ciò che poteva essere visto’.
Ato mahantatarena, aggivessana, ‘avijjākhandhena jayaseno rājakumāro āvuto nivuto ophuṭo pariyonaddho. Ma più grande di questa è la massa di ignoranza dalla quale il principe Jayasena è velato, avvolto, coperto, e inghiottito.
So vata yaṁ taṁ nekkhammena ñātabbaṁ nekkhammena daṭṭhabbaṁ nekkhammena pattabbaṁ nekkhammena sacchikātabbaṁ taṁ vata jayaseno rājakumāro kāmamajjhe vasanto kāme paribhuñjanto kāmavitakkehi khajjamāno kāmapariḷāhena pariḍayhamāno kāmapariyesanāya ussuko ñassati vā dakkhati vā sacchi vā karissatī’ti—netaṁ ṭhānaṁ vijjati. Il principe Jayasena vive nel mezzo dei piaceri dei sensi, godendoseli, consumato dai pensieri per essi, bruciando di febbre per essi, e cercandone avidamente di più. È semplicemente impossibile per lui conoscere, vedere, o realizzare ciò che può essere conosciuto, visto, e realizzato solo attraverso la rinuncia.
Sace kho taṁ, aggivessana, jayasenassa rājakumārassa imā dve upamā paṭibhāyeyyuṁ, anacchariyaṁ te jayaseno rājakumāro pasīdeyya, pasanno ca te pasannākāraṁ kareyyā”ti. Non avrebbe sorpreso che, se queste due similitudini ti fossero venute in mente, il principe Jayasena avrebbe acquisito fiducia in te e ti avrebbe mostrato tale fiducia”
“Kuto pana maṁ, bhante, jayasenassa rājakumārassa imā dve upamā paṭibhāyissanti anacchariyā pubbe assutapubbā, seyyathāpi bhagavantan”ti? “Ma, Signore, come avrebbero potuto queste due similitudini venirmi in mente come al Buddha, dato che non furono né ispirate in maniera sovrannaturale, né imparate in passato?”
“Seyyathāpi, aggivessana, rājā khattiyo muddhāvasitto nāgavanikaṁ āmanteti: “Immagina, Aggivessana, un re aristocratico consacrato che si rivolge al proprio cacciatore di elefanti:
‘ehi tvaṁ, samma nāgavanika, rañño nāgaṁ abhiruhitvā nāgavanaṁ pavisitvā āraññakaṁ nāgaṁ atipassitvā rañño nāgassa gīvāyaṁ upanibandhāhī’ti. ‘Per favore, mio buon cacciatore di elefanti, monta l’elefante maschio reale e addentrati nel bosco degli elefanti. Quando vedi un elefante maschio selvaggio, legalo al collo dell’elefante reale’
‘Evaṁ, devā’ti kho, aggivessana, nāgavaniko rañño khattiyassa muddhāvasittassa paṭissutvā rañño nāgaṁ abhiruhitvā nāgavanaṁ pavisitvā āraññakaṁ nāgaṁ atipassitvā rañño nāgassa gīvāyaṁ upanibandhati. ‘Sì, Sua Maestà’, risponde il cacciatore di elefanti, e fa come gli è stato detto.
Tamenaṁ rañño nāgo abbhokāsaṁ nīharati. L’elefante reale conduce l’elefante selvaggio all’aperto;
Ettāvatā kho, aggivessana, āraññako nāgo abbhokāsaṁ gato hoti. ed è solo allora che esce all’aperto,
Etthagedhā hi, aggivessana, āraññakā nāgā yadidaṁ—nāgavanaṁ. poiché gli elefanti maschi selvaggi sono attaccati al bosco degli elefanti.
Tamenaṁ nāgavaniko rañño khattiyassa muddhāvasittassa ārocesi: Allora il cacciatore di elefanti informa il re:
‘abbhokāsagato kho, deva, āraññako nāgo’ti. “Sire, l’elefante selvaggio è uscito all’aperto’.
Atha kho aggivessana, tamenaṁ rājā khattiyo muddhāvasitto hatthidamakaṁ āmantesi: Allora il re si rivolge al proprio addestratore di elefanti:
‘ehi tvaṁ, samma hatthidamaka, āraññakaṁ nāgaṁ damayāhi āraññakānañceva sīlānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva sarasaṅkappānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva darathakilamathapariḷāhānaṁ abhinimmadanāya gāmante abhiramāpanāya manussakantesu sīlesu samādapanāyā’ti. ‘Per favore, mio buon addestratore di elefanti, doma l’elefante maschio selvaggio. Sottometti i suoi comportamenti selvaggi, i suoi ricordi e pensieri selvaggi, e i suoi stress, fatiche, e febbri selvagge. Rendilo felice di stare in un villaggio, e infondi in lui comportamenti adatti agli umani’
‘Evaṁ, devā’ti kho, aggivessana, hatthidamako rañño khattiyassa muddhāvasittassa paṭissutvā mahantaṁ thambhaṁ pathaviyaṁ nikhaṇitvā āraññakassa nāgassa gīvāyaṁ upanibandhati āraññakānañceva sīlānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva sarasaṅkappānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva darathakilamathapariḷāhānaṁ abhinimmadanāya gāmante abhiramāpanāya manussakantesu sīlesu samādapanāya. ‘Sì, Sua Maestà’, risponde l’addestratore di elefanti. Pianta un grosso palo nella terra e ci lega l’elefante per il collo, al fine di sottomettere i suoi comportamenti selvaggi, i suoi ricordi e pensieri selvaggi, e i suoi stress, fatiche, e febbri selvagge, e per renderlo felice di stare in un villaggio, e infondere in lui comportamenti adatti agli umani.
Tamenaṁ hatthidamako yā sā vācā nelā kaṇṇasukhā pemanīyā hadayaṅgamā porī bahujanakantā bahujanamanāpā tathārūpāhi vācāhi samudācarati. Gli parla in modo dolce, piacevole all’orecchio, amabile, che va dritto al cuore, gentile, piacevole, e gradevole alla gente.
Yato kho, aggivessana, āraññako nāgo hatthidamakassa yā sā vācā nelā kaṇṇasukhā pemanīyā hadayaṅgamā porī bahujanakantā bahujanamanāpā tathārūpāhi vācāhi samudācariyamāno sussūsati, sotaṁ odahati, aññā cittaṁ upaṭṭhāpeti; Istruito così dall’addestratore di elefanti, l’elefante selvaggio vuole ascoltare. Ascolta attivamente e cerca di capire.
tamenaṁ hatthidamako uttari tiṇaghāsodakaṁ anuppavecchati. Allora l’addestratore di elefanti lo ricompensa con paglia, foraggio, e acqua.
Yato kho, aggivessana, āraññako nāgo hatthidamakassa tiṇaghāsodakaṁ paṭiggaṇhāti, tatra hatthidamakassa evaṁ hoti: Una volta che l’elefante selvaggio accetta la paglia, il foraggio, e l’acqua, l’addestratore sa:
‘jīvissati kho dāni āraññako nāgo’ti. ‘Ora l’elefante selvaggio sopravviverà!’
Tamenaṁ hatthidamako uttari kāraṇaṁ kāreti: Allora gli dà altri compiti:
‘ādiya, bho, nikkhipa, bho’ti. ‘Prendi questo, signor elefante! Mettilo giù, signor elefante!’
Yato kho, aggivessana, āraññako nāgo hatthidamakassa ādānanikkhepe vacanakaro hoti ovādappaṭikaro, tamenaṁ hatthidamako uttari kāraṇaṁ kāreti: Una volta che l’elefante selvaggio prende e mette giù quando l’addestratore glielo dice, seguendo le istruzioni, l’addestratore gli dà altri compiti:
‘abhikkama, bho, paṭikkama, bho’ti. ‘Avanti, signor elefante! Indietro, signor elefante!’
Yato kho, aggivessana, āraññako nāgo hatthidamakassa abhikkamapaṭikkamavacanakaro hoti ovādappaṭikaro, tamenaṁ hatthidamako uttari kāraṇaṁ kāreti: Una volta che l’elefante selvaggio va avanti e indietro quando l’addestratore glielo dice, seguendo le istruzioni, l’addestratore gli dà altri compiti:
‘uṭṭhaha, bho, nisīda, bho’ti. ‘In piedi, signor elefante! Seduto, signor elefante!’
Yato kho, aggivessana, āraññako nāgo hatthidamakassa uṭṭhānanisajjāya vacanakaro hoti ovādappaṭikaro, tamenaṁ hatthidamako uttari āneñjaṁ nāma kāraṇaṁ kāreti, mahantassa phalakaṁ soṇḍāya upanibandhati, tomarahattho ca puriso uparigīvāya nisinno hoti, samantato ca tomarahatthā purisā parivāretvā ṭhitā honti, hatthidamako ca dīghatomarayaṭṭhiṁ gahetvā purato ṭhito hoti. Una volta che l’elefante selvaggio si alza e si siede quando l’addestratore glielo dice, seguendo le istruzioni, l’addestratore prepara il compito chiamato “imperturbabilità”. Gli allaccia una grossa piastra alla proboscide; un lanciere gli punta il collo; altri lancieri lo circondano da tutti i lati; e l’addestratore stesso si mette davanti a lui con una lunga lancia.
So āneñjaṁ kāraṇaṁ kāriyamāno neva purime pāde copeti na pacchime pāde copeti, na purimakāyaṁ copeti na pacchimakāyaṁ copeti, na sīsaṁ copeti, na kaṇṇe copeti, na dante copeti, na naṅguṭṭhaṁ copeti, na soṇḍaṁ copeti. Mentre pratica questo compito, l’elefante non muove le zampe anteriori, le zampe posteriori, il davanti, il dietro, la testa, le orecchie, le zanne, la coda, o la proboscide.
So hoti āraññako nāgo khamo sattippahārānaṁ asippahārānaṁ usuppahārānaṁ sarapattappahārānaṁ bheripaṇavavaṁsasaṅkhaḍiṇḍimaninnādasaddānaṁ sabbavaṅkadosanihitaninnītakasāvo rājāraho rājabhoggo rañño aṅganteva saṅkhaṁ gacchati. L’elefante maschio selvaggio sopporta di venire colpito da lance, spade, frecce, e asce; sopporta il tuono dei tamburi, dei timpani, dei corni, e dei cembali. Libero da imperfezioni e pecche, ed epurato da difetti, è degno di un re, idoneo a servire un re, e considerato un fattore reale.
Evameva kho, aggivessana, idha tathāgato loke uppajjati arahaṁ sammāsambuddho vijjācaraṇasampanno sugato lokavidū anuttaro purisadammasārathi satthā devamanussānaṁ buddho bhagavā. Allo stesso modo, Aggivessana, un Realizzato appare nel mondo, perfetto, un Buddha completamente risvegliato, esperto di conoscenza e condotta, santo, conoscitore del mondo, guida suprema per coloro che desiderano addestrarsi, insegnante di esseri celesti e umani, risvegliato, beato.
So imaṁ lokaṁ sadevakaṁ samārakaṁ sabrahmakaṁ sassamaṇabrāhmaṇiṁ pajaṁ sadevamanussaṁ sayaṁ abhiññā sacchikatvā pavedeti. Avendo realizzato con la propria conoscenza diretta questo mondo, con i suoi angeli, diavoli, e dei, questa popolazione con i suoi asceti e bramini, esseri celesti e umani, lo rende noto agli altri.
So dhammaṁ deseti ādikalyāṇaṁ majjhekalyāṇaṁ pariyosānakalyāṇaṁ sātthaṁ sabyañjanaṁ, kevalaparipuṇṇaṁ parisuddhaṁ brahmacariyaṁ pakāseti. Spiega un’insegnamento buono all’inizio, nel mezzo, e alla fine, significativo e ben espresso. E rivela un percorso spirituale assolutamente completo e puro.
Taṁ dhammaṁ suṇāti gahapati vā gahapatiputto vā aññatarasmiṁ vā kule paccājāto. Un laico sente quell’insegnamento, o il figlio di un laico, o qualcuno nato in qualche buona famiglia.
So taṁ dhammaṁ sutvā tathāgate saddhaṁ paṭilabhati. Nasce in lui fede nel Realizzato
So tena saddhāpaṭilābhena samannāgato iti paṭisañcikkhati: e riflette:
‘sambādho gharāvāso rajāpatho, abbhokāso pabbajjā. ‘La vita laica è inconveniente e impura, mentre la vita di chi lascia casa è aperta.
Nayidaṁ sukaraṁ agāraṁ ajjhāvasatā ekantaparipuṇṇaṁ ekantaparisuddhaṁ saṅkhalikhitaṁ brahmacariyaṁ carituṁ. Non è facile per chi vive a casa seguire il percorso spirituale in modo totalmente completo e puro, come un guscio lucidato.
Yannūnāhaṁ kesamassuṁ ohāretvā kāsāyāni vatthāni acchādetvā agārasmā anagāriyaṁ pabbajeyyan’ti. Perché non mi taglio capelli e barba, indosso l’abito marrone, e lascio la vita di casa per quella mendicante?’
So aparena samayena appaṁ vā bhogakkhandhaṁ pahāya mahantaṁ vā bhogakkhandhaṁ pahāya appaṁ vā ñātiparivaṭṭaṁ pahāya mahantaṁ vā ñātiparivaṭṭaṁ pahāya kesamassuṁ ohāretvā kāsāyāni vatthāni acchādetvā agārasmā anagāriyaṁ pabbajati. Dopo un po’ lascia una fortuna grossa o piccola che sia, e una famiglia grossa o piccola che sia. Si taglia capelli e barba, indossa l’abito marrone, e lascia la vita di casa per quella mendicante.
Ettāvatā kho, aggivessana, ariyasāvako abbhokāsagato hoti. Ed è solo allora che un discepolo nobile esce all’aperto,
Etthagedhā hi, aggivessana, devamanussā yadidaṁ—pañca kāmaguṇā. poiché gli angeli e gli umani sono attaccati ai cinque tipi di stimolazione dei sensi.
Tamenaṁ tathāgato uttariṁ vineti: Poi il Realizzato lo guida ulteriormente:
‘ehi tvaṁ, bhikkhu, sīlavā hohi, pātimokkhasaṁvarasaṁvuto viharāhi ācāragocarasampanno, aṇumattesu vajjesu bhayadassāvī, samādāya sikkhassu sikkhāpadesū’ti. ‘Vieni, monaco, sii morale e vivi con contegno basato sulla regola monastica, comportandoti bene e cercando elemosina in posti adatti. Vedendo il pericolo nella colpa più piccola, mantieni le regole che hai intrapreso’.
Yato kho, aggivessana, ariyasāvako sīlavā hoti, pātimokkhasaṁvarasaṁvuto viharati ācāragocarasampanno aṇumattesu vajjesu bhayadassāvī, samādāya sikkhati sikkhāpadesu, tamenaṁ tathāgato uttariṁ vineti: Una volta che è di condotta morale, il Realizzato lo guida ulteriormente:
‘ehi tvaṁ, bhikkhu, indriyesu guttadvāro hohi, cakkhunā rūpaṁ disvā mā nimittaggāhī …pe… ‘Vieni, monaco, proteggi le porte sensoriali. Quando vedi una forma con gli occhi, non farti influenzare dall’aspetto e dai dettagli. …
(yathā gaṇakamoggallānasuttante, evaṁ vitthāretabbāni.) (Ripetere a pieno come in MN 107, il Discorso con Moggallāna il Contabile.)
So ime pañca nīvaraṇe pahāya cetaso upakkilese paññāya dubbalīkaraṇe Abbandona questi cinque impedimenti, corruzioni della mente che indeboliscono la saggezza.
kāye kāyānupassī viharati ātāpī sampajāno satimā vineyya loke abhijjhādomanassaṁ. Poi dimora osservando un aspetto del corpo, fervido, presente, e consapevole, senza attrazione o fastidio nei confronti del mondo.
Vedanāsu …pe… Dimora osservando un aspetto delle sensazioni …
citte … della mente …
dhammesu dhammānupassī viharati ātāpī sampajāno satimā vineyya loke abhijjhādomanassaṁ. dei fenomeni, fervido, presente, e consapevole, senza attrazione o fastidio nei confronti del mondo.
Seyyathāpi, aggivessana, hatthidamako mahantaṁ thambhaṁ pathaviyaṁ nikhaṇitvā āraññakassa nāgassa gīvāyaṁ upanibandhati āraññakānañceva sīlānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva sarasaṅkappānaṁ abhinimmadanāya āraññakānañceva darathakilamathapariḷāhānaṁ abhinimmadanāya gāmante abhiramāpanāya manussakantesu sīlesu samādapanāya; È come quando l’addestratore di elefanti ha piantato il grosso palo nella terra e ci ha legato l’elefante per il collo, al fine di sottomettere i suoi comportamenti selvaggi, i suoi ricordi e pensieri selvaggi, e i suoi stress, fatiche, e febbri selvagge, e per renderlo felice di stare in un villaggio, e infondere in lui comportamenti adatti agli umani.
evameva kho, aggivessana, ariyasāvakassa ime cattāro satipaṭṭhānā cetaso upanibandhanā honti gehasitānañceva sīlānaṁ abhinimmadanāya gehasitānañceva sarasaṅkappānaṁ abhinimmadanāya gehasitānañceva darathakilamathapariḷāhānaṁ abhinimmadanāya ñāyassa adhigamāya nibbānassa sacchikiriyāya. Allo stesso modo, un discepolo nobile ha a disposizione queste quattro basi della consapevolezza come corde della mente al fine di sottomettere i comportamenti della vita laica, i ricordi e i pensieri della vita laica, lo stress, le fatiche, e le febbri della vita laica, per scoprire il sistema, e realizzare l’estinzione.
Tamenaṁ tathāgato uttariṁ vineti: Poi il Realizzato lo guida ulteriormente:
‘ehi tvaṁ, bhikkhu, kāye kāyānupassī viharāhi, mā ca kāmūpasaṁhitaṁ vitakkaṁ vitakkesi. ‘Vieni, monaco, dimora osservando un aspetto del corpo, ma non fare pensieri legati ai piaceri dei sensi.
Vedanāsu … Dimora osservando un aspetto delle sensazioni …
citte … della mente …
dhammesu dhammānupassī viharāhi, mā ca kāmūpasaṁhitaṁ vitakkaṁ vitakkesī’ti. dei fenomeni, ma non fare pensieri legati ai piaceri dei sensi’.
So vitakkavicārānaṁ vūpasamā ajjhattaṁ sampasādanaṁ cetaso ekodibhāvaṁ avitakkaṁ avicāraṁ samādhijaṁ pītisukhaṁ dutiyaṁ jhānaṁ … Con il placarsi di pensiero e valutazione, con chiarezza interna e mente raccolta, senza pensiero e valutazione, con euforia e felicità nate dalla concentrazione, raggiunge e dimora nella seconda estasi. …
tatiyaṁ jhānaṁ … nella terza estasi …
catutthaṁ jhānaṁ upasampajja viharati. e nella quarta estasi.
So evaṁ samāhite citte parisuddhe pariyodāte anaṅgaṇe vigatūpakkilese mudubhūte kammaniye ṭhite āneñjappatte pubbenivāsānussatiñāṇāya cittaṁ abhininnāmeti. Una volta che la sua mente diventa così concentrata, purificata, luminosa, impeccabile, libera da corruzioni, flessibile, lavorabile, stabile, e imperturbabile, la estende al ricordo delle vite passate.
So anekavihitaṁ pubbenivāsaṁ anussarati, seyyathidaṁ—ekampi jātiṁ dvepi jātiyo …pe… iti sākāraṁ sauddesaṁ anekavihitaṁ pubbenivāsaṁ anussarati. Si ricorda molti tipi di vite passate, cioè, una nascita, due nascite, tre nascite, quattro nascite, cinque nascite, dieci nascite, venti nascite, trenta nascite, quaranta nascite, cinquanta nascite, cento nascite, mille nascite, centomila nascite; molte ere di formazione, molte ere di dissoluzione, molte ere di formazione e dissoluzione. … Si ricorda i suoi molti tipi di vite passate, nei particolari e nello specifico.
So evaṁ samāhite citte parisuddhe pariyodāte anaṅgaṇe vigatūpakkilese mudubhūte kammaniye ṭhite āneñjappatte sattānaṁ cutūpapātañāṇāya cittaṁ abhininnāmeti. Una volta che la sua mente diventa così concentrata, purificata, luminosa, impeccabile, libera da corruzioni, flessibile, lavorabile, stabile, e imperturbabile, la estende alla conoscenza della morte e rinascita degli esseri viventi.
So dibbena cakkhunā visuddhena atikkantamānusakena satte passati cavamāne upapajjamāne hīne paṇīte suvaṇṇe dubbaṇṇe, sugate duggate …pe… yathākammūpage satte pajānāti. Con chiaroveggenza purificata e sovrumana, vede gli esseri viventi morire e rinascere; inferiori e superiori, belli e brutti, in un bel posto o un brutto posto. Comprende come gli esseri viventi rinascono secondo le proprie azioni.
So evaṁ samāhite citte parisuddhe pariyodāte anaṅgaṇe vigatūpakkilese mudubhūte kammaniye ṭhite āneñjappatte āsavānaṁ khayañāṇāya cittaṁ abhininnāmeti. Una volta che la sua mente diventa così concentrata, purificata, luminosa, impeccabile, libera da corruzioni, flessibile, lavorabile, stabile, e imperturbabile, la estende alla conoscenza dell’eliminazione dei contaminanti.
So ‘idaṁ dukkhan’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ dukkhasamudayo’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ dukkhanirodho’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ dukkhanirodhagāminī paṭipadā’ti yathābhūtaṁ pajānāti; Comprende secondo realtà: ‘Questa è la sofferenza’, comprende secondo realtà: ‘Questa è l’origine della sofferenza’, comprende secondo realtà: ‘Questa è la cessazione della sofferenza’, comprende secondo realtà: ‘Questa è la pratica che porta alla cessazione della sofferenza’.
‘ime āsavā’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ āsavasamudayo’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ āsavanirodho’ti yathābhūtaṁ pajānāti, ‘ayaṁ āsavanirodhagāminī paṭipadā’ti yathābhūtaṁ pajānāti. Comprende secondo realtà: ‘Questi sono i contaminanti’, comprende secondo realtà: ‘Questa è l’origine dei contaminanti’, comprende secondo realtà: ‘Questa è la cessazione dei contaminanti’, comprende secondo realtà: ‘Questa è la pratica che porta alla cessazione dei contaminanti’.
Tassa evaṁ jānato evaṁ passato kāmāsavāpi cittaṁ vimuccati, bhavāsavāpi cittaṁ vimuccati, avijjāsavāpi cittaṁ vimuccati. Conoscendo così e vedendo così, la sua mente viene liberata dal contaminante dei piaceri dei sensi, la sua mente viene liberata dal contaminante dell’esistenza, e la sua mente viene liberata dal contaminante dell’ignoranza.
Vimuttasmiṁ vimuttamiti ñāṇaṁ hoti. Una volta libero, capisce di essere libero.
‘Khīṇā jāti, vusitaṁ brahmacariyaṁ, kataṁ karaṇīyaṁ, nāparaṁ itthattāyā’ti pajānāti. Comprende: ‘La nascita è terminata, il percorso spirituale è stato completato, ciò che c’era da fare è stato fatto, non ci sarà più nulla di questo’.
So hoti bhikkhu khamo sītassa uṇhassa jighacchāya pipāsāya ḍaṁsamakasavātātapasarīsapasamphassānaṁ duruttānaṁ durāgatānaṁ vacanapathānaṁ, uppannānaṁ sārīrikānaṁ vedanānaṁ dukkhānaṁ tibbānaṁ kharānaṁ kaṭukānaṁ asātānaṁ amanāpānaṁ pāṇaharānaṁ adhivāsakajātiko hoti Un monaco così sopporta freddo, caldo, fame, e sete; il tocco delle mosche, delle zanzare, del vento, del sole, e dei rettili; critiche scortesi e sgradite. E sopporta il dolore fisico, pungente, severo, acuto, spiacevole, sgradevole, e pericoloso alla vita.
sabbarāgadosamohanihitaninnītakasāvo āhuneyyo pāhuneyyo dakkhiṇeyyo añjalikaraṇīyo anuttaraṁ puññakkhettaṁ lokassa. Libero da ogni avidità, odio, e illusione, ed epurato di ogni difetto, è degno di offerte, degno di ospitalità, degno di donazioni, degno di saluti con mani giunte, ed è il supremo campo di merito per il mondo.
Mahallako cepi, aggivessana, rañño nāgo adanto avinīto kālaṁ karoti, ‘adantamaraṇaṁ mahallako rañño nāgo kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati; Se un elefante maschio reale muore indomato e non addestrato, che sia in vecchiaia, mezza età, o giovinezza, è considerato un elefante maschio reale morto indomato.
majjhimo cepi, aggivessana, rañño nāgo.
Daharo cepi, aggivessana, rañño nāgo adanto avinīto kālaṁ karoti, ‘adantamaraṇaṁ daharo rañño nāgo kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati;
evameva kho, aggivessana, thero cepi bhikkhu akhīṇāsavo kālaṁ karoti, ‘adantamaraṇaṁ thero bhikkhu kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati; Allo stesso modo, se un monaco muore senza aver eliminato i contaminanti, che sia anziano, medio, o giovane, è considerato un monaco morto indomato.
majjhimo cepi, aggivessana, bhikkhu.
Navo cepi, aggivessana, bhikkhu akhīṇāsavo kālaṁ karoti, ‘adantamaraṇaṁ navo bhikkhu kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati.
Mahallako cepi, aggivessana, rañño nāgo sudanto suvinīto kālaṁ karoti, ‘dantamaraṇaṁ mahallako rañño nāgo kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati; Se un elefante maschio reale muore domato e addestrato, che sia in vecchiaia, mezza età, o giovinezza, è considerato un elefante maschio reale morto domato.
majjhimo cepi, aggivessana, rañño nāgo …
daharo cepi, aggivessana, rañño nāgo sudanto suvinīto kālaṁ karoti, ‘dantamaraṇaṁ daharo rañño nāgo kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati;
evameva kho, aggivessana, thero cepi bhikkhu khīṇāsavo kālaṁ karoti, ‘dantamaraṇaṁ thero bhikkhu kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchati; Allo stesso modo, se un monaco muore avendo eliminato i contaminanti, che sia anziano, medio, o giovane, è considerato un monaco morto domato”.
majjhimo cepi, aggivessana, bhikkhu.
Navo cepi, aggivessana, bhikkhu khīṇāsavo kālaṁ karoti, ‘dantamaraṇaṁ navo bhikkhu kālaṅkato’tveva saṅkhaṁ gacchatī”ti.
Idamavoca bhagavā. Questo è ciò che il Buddha disse.
Attamano aciravato samaṇuddeso bhagavato bhāsitaṁ abhinandīti. Contento, il novizio Aciravata trasse piacere da ciò che il Buddha disse.
Dantabhūmisuttaṁ niṭṭhitaṁ pañcamaṁ.