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Majjhima Nikāya 54 Discorsi medi 54
Potaliyasutta Il discorso con il laico Potaliya
Evaṁ me sutaṁ—Così ho sentito.
ekaṁ samayaṁ bhagavā aṅguttarāpesu viharati āpaṇaṁ nāma aṅguttarāpānaṁ nigamo. Una volta il Buddha dimorava nella terra degli Aṅguttarāpan, vicino alla città chiamata Āpaṇa.
Atha kho bhagavā pubbaṇhasamayaṁ nivāsetvā pattacīvaramādāya āpaṇaṁ piṇḍāya pāvisi. Al mattino il Buddha si vestì e, prendendo la propria ciotola e abito, entrò ad Āpaṇa per l’elemosina.
Āpaṇe piṇḍāya caritvā pacchābhattaṁ piṇḍapātapaṭikkanto yenaññataro vanasaṇḍo tenupasaṅkami divāvihārāya. Vagò per l’elemosina ad Āpaṇa. Dopo il pasto, al ritorno dalla questua, andò in un certo bosco per la dimora quotidiana.
Taṁ vanasaṇḍaṁ ajjhogāhetvā aññatarasmiṁ rukkhamūle divāvihāraṁ nisīdi. Dopo essersi addentrato profondamente nel bosco, si sedette alla radice di un certo albero per la dimora quotidiana.
Potaliyopi kho gahapati sampannanivāsanapāvuraṇo chattupāhanāhi jaṅghāvihāraṁ anucaṅkamamāno anuvicaramāno yena so vanasaṇḍo tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā taṁ vanasaṇḍaṁ ajjhogāhetvā yena bhagavā tenupasaṅkami; upasaṅkamitvā bhagavatā saddhiṁ sammodi. Anche il laico Potaliya andò in quel bosco durante una camminata. Era vestito bene con sarong e mantello, con parasole e sandali. Dopo essersi addentrato profondamente nel bosco, andò dal Buddha e ci scambiò saluti.
Sammodanīyaṁ kathaṁ sāraṇīyaṁ vītisāretvā ekamantaṁ aṭṭhāsi. Ekamantaṁ ṭhitaṁ kho potaliyaṁ gahapatiṁ bhagavā etadavoca: Una volta che i saluti e le cordialità terminarono, rimase in piedi a lato, e il Buddha gli disse:
“saṁvijjanti kho, gahapati, āsanāni; sace ākaṅkhasi nisīdā”ti. “Ci sono posti a sedere, laico. Prego, siediti se vuoi”.
Evaṁ vutte, potaliyo gahapati “gahapativādena maṁ samaṇo gotamo samudācaratī”ti kupito anattamano tuṇhī ahosi. Detto ciò, Potaliya si arrabbiò e si infastidì. Pensando: “L’asceta Gotama si rivolge a me come ‘laico’!”, rimase in silenzio.
Dutiyampi kho bhagavā …pe… Per la seconda volta …
tatiyampi kho bhagavā potaliyaṁ gahapatiṁ etadavoca: e per la terza volta il Buddha gli disse:
“saṁvijjanti kho, gahapati, āsanāni; sace ākaṅkhasi nisīdā”ti. “Ci sono posti a sedere, laico. Prego, siediti se vuoi”.
Evaṁ vutte, potaliyo gahapati “gahapativādena maṁ samaṇo gotamo samudācaratī”ti kupito anattamano bhagavantaṁ etadavoca: Detto ciò, Potaliya si arrabbiò e si infastidì. Pensando: “L’asceta Gotama si rivolge a me come ‘laico’!”, disse al Buddha:
“tayidaṁ, bho gotama, nacchannaṁ, tayidaṁ nappatirūpaṁ, yaṁ maṁ tvaṁ gahapativādena samudācarasī”ti. “Signor Gotama, non è corretto né opportuno che lei si rivolga a me come ‘laico’”
“Te hi te, gahapati, ākārā, te liṅgā, te nimittā yathā taṁ gahapatissā”ti. “Beh, laico, hai le caratteristiche, gli attributi, e l’aspetto di un laico”
“Tathā hi pana me, bho gotama, sabbe kammantā paṭikkhittā, sabbe vohārā samucchinnā”ti. “Signor Gotama, io ho lasciato ogni lavoro e ho dato un taglio agli affari”
“Yathā kathaṁ pana te, gahapati, sabbe kammantā paṭikkhittā, sabbe vohārā samucchinnā”ti? “Laico, in che modo hai lasciato ogni lavoro e dato un taglio agli affari?”
“Idha me, bho gotama, yaṁ ahosi dhanaṁ vā dhaññaṁ vā rajataṁ vā jātarūpaṁ vā sabbaṁ taṁ puttānaṁ dāyajjaṁ niyyātaṁ, tatthāhaṁ anovādī anupavādī ghāsacchādanaparamo viharāmi. “Signor Gotama, tutti i soldi, grano, oro, e argento che avevo è stato consegnato ai miei figli come eredità. E in questo non do loro consigli né rimproveri, ma vivo con niente più che cibo e vestiti.
Evaṁ kho me, bho gotama, sabbe kammantā paṭikkhittā, sabbe vohārā samucchinnā”ti. È così che ho lasciato ogni lavoro e ho dato un taglio agli affari”
“Aññathā kho tvaṁ, gahapati, vohārasamucchedaṁ vadasi, aññathā ca pana ariyassa vinaye vohārasamucchedo hotī”ti. “Il dare un taglio agli affari come lo descrivi tu è una cosa, laico, ma il dare un taglio agli affari nell’addestramento nobile è molto diverso”
“Yathā kathaṁ pana, bhante, ariyassa vinaye vohārasamucchedo hoti? “Ma com’è, Signore, il dare un taglio agli affari nell’addestramento nobile?
Sādhu me, bhante, bhagavā tathā dhammaṁ desetu yathā ariyassa vinaye vohārasamucchedo hotī”ti. Signore, per favore mi insegni questo”
“Tena hi, gahapati, suṇāhi, sādhukaṁ manasi karohi, bhāsissāmī”ti. “Allora, laico, ascolta e presta la giusta attenzione, ora parlo”
“Evaṁ, bhante”ti kho potaliyo gahapati bhagavato paccassosi. “Sì, Signore” rispose Potaliya.
Bhagavā etadavoca: Il Buddha disse:
“aṭṭha kho ime, gahapati, dhammā ariyassa vinaye vohārasamucchedāya saṁvattanti. “Laico, queste otto cose portano al dare un taglio agli affari nell’addestramento nobile.
Katame aṭṭha? Quali otto?
Apāṇātipātaṁ nissāya pāṇātipāto pahātabbo; Uccidere deve essere abbandonato attraverso il non uccidere.
dinnādānaṁ nissāya adinnādānaṁ pahātabbaṁ; Rubare deve essere abbandonato attraverso il non rubare.
saccavācaṁ nissāya musāvādo pahātabbo; Mentire deve essere abbandonato attraverso il dire la verità.
apisuṇaṁ vācaṁ nissāya pisuṇā vācā pahātabbā; Il linguaggio divisivo deve essere abbandonato attraverso il linguaggio non divisivo.
agiddhilobhaṁ nissāya giddhilobho pahātabbo; Bramosia e cupidigia devono essere abbandonate attraverso il non essere bramosi e cupidi.
anindārosaṁ nissāya nindāroso pahātabbo; Offese e insulti devono essere abbandonati attraverso il non offendere e insultare.
akkodhūpāyāsaṁ nissāya kodhūpāyāso pahātabbo; Rabbia e angoscia devono essere abbandonate attraverso il non arrabbiarsi e angosciarsi.
anatimānaṁ nissāya atimāno pahātabbo. L’arroganza deve essere abbandonata attraverso il non essere arroganti.
Ime kho, gahapati, aṭṭha dhammā saṅkhittena vuttā, vitthārena avibhattā, ariyassa vinaye vohārasamucchedāya saṁvattantī”ti. Queste sono le otto cose, dette in breve senza essere analizzate in dettaglio, che portano al dare un taglio agli affari nell’addestramento nobile”
“Ye me, bhante, bhagavatā aṭṭha dhammā saṅkhittena vuttā, vitthārena avibhattā, ariyassa vinaye vohārasamucchedāya saṁvattanti, sādhu me, bhante, bhagavā ime aṭṭha dhamme vitthārena vibhajatu anukampaṁ upādāyā”ti. “Signore, per favore mi insegni queste otto cose in dettaglio per premura”
“Tena hi, gahapati, suṇāhi, sādhukaṁ manasi karohi, bhāsissāmī”ti. “Allora, laico, ascolta e presta la giusta attenzione, ora parlo”
“Evaṁ, bhante”ti kho potaliyo gahapati bhagavato paccassosi. “Sì, Signore” rispose Potaliya.
Bhagavā etadavoca: Il Buddha disse:
“‘Apāṇātipātaṁ nissāya pāṇātipāto pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? “‘Uccidere deve essere abbandonato attraverso il non uccidere’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu pāṇātipātī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a uccidere.
Ahañceva kho pana pāṇātipātī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya pāṇātipātapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ pāṇātipātapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā pāṇātipātapaccayā. Ma se dovessi uccidere, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ pāṇātipāto. E uccidere è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca pāṇātipātapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, pāṇātipātā paṭiviratassa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. I contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa dell’uccidere non si manifestano in chi non uccide’.
‘Apāṇātipātaṁ nissāya pāṇātipāto pahātabbo’ti—‘Uccidere deve essere abbandonato attraverso il non uccidere’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Dinnādānaṁ nissāya adinnādānaṁ pahātabban’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Rubare deve essere abbandonato attraverso il non rubare’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu adinnādāyī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a rubare.
Ahañceva kho pana adinnādāyī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya adinnādānapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ adinnādānapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā adinnādānapaccayā. Ma se dovessi rubare, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ adinnādānaṁ. E rubare è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca adinnādānapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā adinnādānā paṭiviratassa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. I contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa del rubare non si manifestano in chi non ruba’.
‘Dinnādānaṁ nissāya adinnādānaṁ pahātabban’ti—‘Rubare deve essere abbandonato attraverso il non rubare’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è quello che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Saccavācaṁ nissāya musāvādo pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Mentire deve essere abbandonato attraverso il dire la verità’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu musāvādī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a mentire.
Ahañceva kho pana musāvādī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya musāvādapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ musāvādapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā musāvādapaccayā. Ma se dovessi mentire, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ musāvādo. E mentire è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca musāvādapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, musāvādā paṭiviratassa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. I contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa del mentire non si manifestano in chi non mente’.
‘Saccavācaṁ nissāya musāvādo pahātabbo’ti—‘Mentire deve essere abbandonato attraverso il dire la verità’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Apisuṇaṁ vācaṁ nissāya pisuṇā vācā pahātabbā’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Il linguaggio divisivo deve essere abbandonato attraverso il linguaggio non divisivo’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu pisuṇavāco assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a usare linguaggio divisivo.
Ahañceva kho pana pisuṇavāco assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya pisuṇavācāpaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ pisuṇavācāpaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā pisuṇavācāpaccayā. Ma se dovessi usare linguaggio divisivo, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ pisuṇā vācā. E il linguaggio divisivo è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca pisuṇavācāpaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, pisuṇāya vācāya paṭiviratassa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. I contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa del linguaggio divisivo non si manifestano in chi non usa linguaggio divisivo’.
‘Apisuṇaṁ vācaṁ nissāya pisuṇā vācā pahātabbā’ti—‘Il linguaggio divisivo deve essere abbandonato attraverso il linguaggio non divisivo’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Agiddhilobhaṁ nissāya giddhilobho pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Bramosia e cupidigia devono essere abbandonate attraverso il non essere bramosi e cupidi’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu giddhilobhī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a essere bramoso e cupido.
Ahañceva kho pana giddhilobhī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya giddhilobhapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ giddhilobhapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā giddhilobhapaccayā. Ma se dovessi essere bramoso e cupido, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ giddhilobho. Ed essere bramosi e cupidi è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca giddhilobhapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, giddhilobhā paṭiviratassa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. I contaminanti angoscianti e febbrili che sorgerebbero a causa dell’essere bramosi e cupidi non sorgono in chi non uccide è bramoso e cupido’.
‘Agiddhilobhaṁ nissāya giddhilobho pahātabbo’ti—‘Bramosia e cupidigia devono essere abbandonati attraverso il non essere bramosi e cupidi’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Anindārosaṁ nissāya nindāroso pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Offese e insulti devono essere abbandonati attraverso il non offendere e insultare’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu nindārosī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a offendere e insultare.
Ahañceva kho pana nindārosī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya nindārosapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ nindārosapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā nindārosapaccayā. Ma se dovessi offendere e insultare, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ nindāroso. E offendere e insultare è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca nindārosapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, anindārosissa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. Poiché i contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa dell’offendere e insultare non si manifestano in chi non offende e insulta’.
‘Anindārosaṁ nissāya nindāroso pahātabbo’ti—‘Offese e insulti devono essere abbandonati attraverso il non offendere e insultare’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Akkodhūpāyāsaṁ nissāya kodhūpāyāso pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? ‘Rabbia e angoscia devono essere abbandonate attraverso il non arrabbiarsi e angosciarsi’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu kodhūpāyāsī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi ad arrabbiarmi e angosciarmi.
Ahañceva kho pana kodhūpāyāsī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya kodhūpāyāsapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ kodhūpāyāsapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā kodhūpāyāsapaccayā. Ma se dovessi arrabbiarmi e angosciarmi, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ kodhūpāyāso. E rabbia e angoscia sono in sé una catena e un impedimento.
Ye ca kodhūpāyāsapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, akkodhūpāyāsissa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. Poiché i contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa di rabbia e angoscia non si manifestano in chi non si arrabbia e angoscia’.
‘Akkodhūpāyāsaṁ nissāya kodhūpāyāso pahātabbo’ti—‘Rabbia e angoscia devono essere abbandonate attraverso il non arrabbiarsi e angosciarsi’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
‘Anatimānaṁ nissāya atimāno pahātabbo’ti iti kho panetaṁ vuttaṁ, kiñcetaṁ paṭicca vuttaṁ? L’arroganza deve essere abbandonata attraverso il non essere arroganti’. Questo è quello che ho detto, ma perché l’ho detto?
Idha, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: È quando un discepolo nobile riflette:
‘yesaṁ kho ahaṁ saṁyojanānaṁ hetu atimānī assaṁ, tesāhaṁ saṁyojanānaṁ pahānāya samucchedāya paṭipanno. ‘Sto praticando per abbandonare e tagliare le catene che potrebbero portarmi a essere arrogante.
Ahañceva kho pana atimānī assaṁ, attāpi maṁ upavadeyya atimānapaccayā, anuviccāpi maṁ viññū garaheyyuṁ atimānapaccayā, kāyassa bhedā paraṁ maraṇā duggati pāṭikaṅkhā atimānapaccayā. Ma se dovessi essere arrogante, a causa di ciò rimprovererei me stesso; le persone giudiziose, esaminando la situazione, mi criticherebbero; e alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, potrei aspettarmi di rinascere in un brutto posto.
Etadeva kho pana saṁyojanaṁ etaṁ nīvaraṇaṁ yadidaṁ atimāno. E l’arroganza è in sé una catena e un impedimento.
Ye ca atimānapaccayā uppajjeyyuṁ āsavā vighātapariḷāhā, anatimānissa evaṁsa te āsavā vighātapariḷāhā na honti’. Poiché i contaminanti angoscianti e febbrili che si manifesterebbero a causa dell’arroganza non si manifestano in chi non è arrogante’.
‘Anatimānaṁ nissāya atimāno pahātabbo’ti—‘L’arroganza deve essere abbandonata attraverso il non essere arroganti’.
iti yantaṁ vuttaṁ idametaṁ paṭicca vuttaṁ. Questo è ciò che ho detto, e questo è perché l’ho detto.
Ime kho, gahapati, aṭṭha dhammā saṅkhittena vuttā, vitthārena vibhattā, ye ariyassa vinaye vohārasamucchedāya saṁvattanti; Queste sono le otto cose, dette in breve e analizzate in dettaglio, che portano al dare un taglio agli affari nell’addestramento nobile.
na tveva tāva ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo hotī”ti. Ma solo questo non costituisce il dare un taglio agli affari sotto ogni singolo aspetto nell’addestramento nobile”
“Yathā kathaṁ pana, bhante, ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo hoti? “Ma, Signore, com’è il dare un taglio agli affari sotto ogni singolo aspetto nell’addestramento nobile?
Sādhu me, bhante, bhagavā tathā dhammaṁ desetu yathā ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo hotī”ti. Signore, per favore mi insegni questo”
“Tena hi, gahapati, suṇāhi, sādhukaṁ manasi karohi, bhāsissāmī”ti. “Allora, laico, ascolta e presta la giusta attenzione, ora parlo”
“Evaṁ, bhante”ti kho potaliyo gahapati bhagavato paccassosi. “Sì, Signore,” rispose Potaliya.
Bhagavā etadavoca: Il Buddha disse:
1. Kāmādīnavakathā 1. I pericoli dei piaceri dei sensi
“Seyyathāpi, gahapati, kukkuro jighacchādubbalyapareto goghātakasūnaṁ paccupaṭṭhito assa. “Laico, immagina un cane debole dalla fame che si aggira nei pressi del negozio di un macellaio.
Tamenaṁ dakkho goghātako vā goghātakantevāsī vā aṭṭhikaṅkalaṁ sunikkantaṁ nikkantaṁ nimmaṁsaṁ lohitamakkhitaṁ upasumbheyya. Un macellaio abile o il suo apprendista gli lancia delle ossa con la carne raschiata via ma ancora sporche di sangue.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
api nu kho so kukkuro amuṁ aṭṭhikaṅkalaṁ sunikkantaṁ nikkantaṁ nimmaṁsaṁ lohitamakkhitaṁ palehanto jighacchādubbalyaṁ paṭivineyyā”ti? Rosicchiando quelle ossa senza carne, quel cane placherebbe la propria fame?”
“No hetaṁ, bhante”. “No, Signore.
“Taṁ kissa hetu”? Perché no?
“Aduñhi, bhante, aṭṭhikaṅkalaṁ sunikkantaṁ nikkantaṁ nimmaṁsaṁ lohitamakkhitaṁ. Perché quelle ossa hanno la carne raschiata via e sono sporche di sangue.
Yāvadeva pana so kukkuro kilamathassa vighātassa bhāgī assā”ti. Quel cane alla fine si stancherebbe e frustrerebbe”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘aṭṭhikaṅkalūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti. ‘Con la similitudine delle ossa, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’.
Evametaṁ yathābhūtaṁ sammappaññāya disvā yāyaṁ upekkhā nānattā nānattasitā taṁ abhinivajjetvā, yāyaṁ upekkhā ekattā ekattasitā yattha sabbaso lokāmisūpādānā aparisesā nirujjhanti tamevūpekkhaṁ bhāveti. Avendo visto ciò secondo realtà con comprensione corretta, rifiuta l’equanimità basata sulla diversità e sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità, dove ogni tipo di attaccamento ai piaceri materiali del mondo cessa senza che ne rimanga nulla.
Seyyathāpi, gahapati, gijjho vā kaṅko vā kulalo vā maṁsapesiṁ ādāya uḍḍīyeyya. Immagina che un avvoltoio, un corvo, o un falco afferri un pezzo di carne e voli via.
Tamenaṁ gijjhāpi kaṅkāpi kulalāpi anupatitvā anupatitvā vitaccheyyuṁ vissajjeyyuṁ. Altri avvoltoi, corvi, e falchi continuerebbero a inseguirlo, con beccate e artigliate.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
sace so gijjho vā kaṅko vā kulalo vā taṁ maṁsapesiṁ na khippameva paṭinissajjeyya, so tatonidānaṁ maraṇaṁ vā nigaccheyya maraṇamattaṁ vā dukkhan”ti? Se quell’avvoltoio, corvo, o falco non lascia andare velocemente quel pezzo di carne, ciò non risulterebbe in morte o sofferenza mortale per lui?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘maṁsapesūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti. ‘Con la similitudine del pezzo di carne, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’.
Evametaṁ yathābhūtaṁ sammappaññāya disvā yāyaṁ upekkhā nānattā nānattasitā taṁ abhinivajjetvā yāyaṁ upekkhā ekattā ekattasitā yattha sabbaso lokāmisūpādānā aparisesā nirujjhanti tamevūpekkhaṁ bhāveti. Avendo visto ciò secondo realtà con comprensione corretta, rifiuta l’equanimità basata sulla diversità e sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità, dove ogni tipo di attaccamento ai piaceri materiali del mondo cessa senza che ne rimanga nulla.
Seyyathāpi, gahapati, puriso ādittaṁ tiṇukkaṁ ādāya paṭivātaṁ gaccheyya. Immagina una persona che porta una torcia di paglia che brucia che cammina controvento.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
sace so puriso taṁ ādittaṁ tiṇukkaṁ na khippameva paṭinissajjeyya tassa sā ādittā tiṇukkā hatthaṁ vā daheyya bāhuṁ vā daheyya aññataraṁ vā aññataraṁ vā aṅgapaccaṅgaṁ daheyya, so tatonidānaṁ maraṇaṁ vā nigaccheyya maraṇamattaṁ vā dukkhan”ti? Se quella persona non lascia andare velocemente quella torcia di paglia che brucia non si scotterebbe le mani o il braccio o qualche altro arto importante o minore, risultando in morte o sofferenza mortale?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘tiṇukkūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti. ‘Con la similitudine della torcia di paglia, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’.
Evametaṁ yathābhūtaṁ sammappaññāya disvā …pe… tamevūpekkhaṁ bhāveti. Avendo visto ciò secondo realtà con comprensione corretta, … sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità …
Seyyathāpi, gahapati, aṅgārakāsu sādhikaporisā, pūrā aṅgārānaṁ vītaccikānaṁ vītadhūmānaṁ. Immagina ci sia una fossa di braci ardenti più profonda dell’altezza di un uomo, piena di braci ardenti che non fanno fiamma né fumano.
Atha puriso āgaccheyya jīvitukāmo amaritukāmo sukhakāmo dukkhapaṭikkūlo. Poi arriva una persona che vuole vivere e non vuole morire, che vuole essere felice e rifugge dal dolore.
Tamenaṁ dve balavanto purisā nānābāhāsu gahetvā aṅgārakāsuṁ upakaḍḍheyyuṁ. Due forti uomini la prendono per le braccia e la trascinano verso la fossa di braci ardenti.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
api nu so puriso iticiticeva kāyaṁ sannāmeyyā”ti? Quella persona non si contorcerebbe e dimenerebbe avanti e indietro?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore.
“Taṁ kissa hetu”? Perché questo?
“Viditañhi, bhante, tassa purisassa imañcāhaṁ aṅgārakāsuṁ papatissāmi, tatonidānaṁ maraṇaṁ vā nigacchissāmi maraṇamattaṁ vā dukkhan”ti. Perché quella persona sa: ‘Se cado in quella fossa di braci ardenti, ciò risulterebbe nella mia morte o sofferenza mortale’”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘aṅgārakāsūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti. ‘Con la similitudine della fossa di braci ardenti, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’.
Evametaṁ yathābhūtaṁ sammappaññāya disvā …pe… tamevūpekkhaṁ bhāveti. Avendo visto ciò secondo realtà con comprensione corretta, … sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità …
Seyyathāpi, gahapati, puriso supinakaṁ passeyya ārāmarāmaṇeyyakaṁ vanarāmaṇeyyakaṁ bhūmirāmaṇeyyakaṁ pokkharaṇirāmaṇeyyakaṁ. Immagina che una persona veda piacevoli parchi, boschi, prati, e stagni in sogno.
So paṭibuddho na kiñci paṭipasseyya. Ma quando si sveglia non li vede più.
Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘supinakūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti …pe… ‘Con la similitudine della fossa di braci ardenti, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’. …
tamevūpekkhaṁ bhāveti. … sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità …
Seyyathāpi, gahapati, puriso yācitakaṁ bhogaṁ yācitvā yānaṁ vā poriseyyaṁ pavaramaṇikuṇḍalaṁ. Immagina che un uomo prenda dei beni in prestito: una carrozza da gentiluomo e degli orecchini con gioielli raffinati,
So tehi yācitakehi bhogehi purakkhato parivuto antarāpaṇaṁ paṭipajjeyya. e con questi sfili nel mezzo di Āpaṇa.
Tamenaṁ jano disvā evaṁ vadeyya: Quando la gente lo vede dice:
‘bhogī vata bho puriso, evaṁ kira bhogino bhogāni bhuñjantī’ti. ‘Questo deve essere un uomo ricco! Poiché è così che i ricchi si godono le proprie ricchezze’.
Tamenaṁ sāmikā yattha yattheva passeyyuṁ tattha tattheva sāni hareyyuṁ. Ma quando i proprietari lo vedono si riprendono ciò che è loro.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, alaṁ nu kho tassa purisassa aññathattāyā”ti? Cosa ne pensi, laico? Ciò basterebbe a infastidirlo?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore.
“Taṁ kissa hetu”? Perché questo?
“Sāmino hi, bhante, sāni harantī”ti. Poiché i proprietari si sono ripresi ciò che era loro”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘yācitakūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti …pe… ‘Con la similitudine dei beni in prestito, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’. …
tamevūpekkhaṁ bhāveti. … sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità …
Seyyathāpi, gahapati, gāmassa vā nigamassa vā avidūre tibbo vanasaṇḍo. Immagina che non lontano da una cittadina o un villaggio ci sia un fitto bosco.
Tatrassa rukkho sampannaphalo ca upapannaphalo ca, na cassu kānici phalāni bhūmiyaṁ patitāni. E che ci sia un albero pieno di frutti, eppure nessuno dei frutti sia caduto a terra.
Atha puriso āgaccheyya phalatthiko phalagavesī phalapariyesanaṁ caramāno. Poi arriva una persona che necessita di frutta, che vaga alla ricerca di frutta.
So taṁ vanasaṇḍaṁ ajjhogāhetvā taṁ rukkhaṁ passeyya sampannaphalañca upapannaphalañca. Dopo essersi addentrato profondamente nel bosco, vede quell’albero pieno di frutti.
Tassa evamassa: Pensa:
‘ayaṁ kho rukkho sampannaphalo ca upapannaphalo ca, natthi ca kānici phalāni bhūmiyaṁ patitāni. ‘Quell’albero è pieno di frutti, eppure nessuno dei frutti è caduto a terra.
Jānāmi kho panāhaṁ rukkhaṁ ārohituṁ. Ma io so come arrampicarmi sugli alberi.
Yannūnāhaṁ imaṁ rukkhaṁ ārohitvā yāvadatthañca khādeyyaṁ ucchaṅgañca pūreyyan’ti. Perché non mi arrampico sull’albero, mangio quanto voglio, e mi riempio la borsa?’
So taṁ rukkhaṁ ārohitvā yāvadatthañca khādeyya ucchaṅgañca pūreyya. E fa così.
Atha dutiyo puriso āgaccheyya phalatthiko phalagavesī phalapariyesanaṁ caramāno tiṇhaṁ kuṭhāriṁ ādāya. Poi arriva una seconda persona che necessita di frutta, che vaga alla ricerca di frutta, portando un’ascia affilata.
So taṁ vanasaṇḍaṁ ajjhogāhetvā taṁ rukkhaṁ passeyya sampannaphalañca upapannaphalañca. Dopo essersi addentrato profondamente nel bosco, vede quell’albero pieno di frutti.
Tassa evamassa: Pensa:
‘ayaṁ kho rukkho sampannaphalo ca upapannaphalo ca, natthi ca kānici phalāni bhūmiyaṁ patitāni. ‘Quell’albero è pieno di frutti, eppure nessuno dei frutti è caduto a terra.
Na kho panāhaṁ jānāmi rukkhaṁ ārohituṁ. Ma io non so come arrampicarmi sugli alberi.
Yannūnāhaṁ imaṁ rukkhaṁ mūlato chetvā yāvadatthañca khādeyyaṁ ucchaṅgañca pūreyyan’ti. Perché non taglio questo albero, mangio quanto voglio, e mi riempio la borsa?’
So taṁ rukkhaṁ mūlatova chindeyya. Allora taglia l’albero alla radice.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
amuko yo so puriso paṭhamaṁ rukkhaṁ ārūḷho sace so na khippameva oroheyya tassa so rukkho papatanto hatthaṁ vā bhañjeyya pādaṁ vā bhañjeyya aññataraṁ vā aññataraṁ vā aṅgapaccaṅgaṁ bhañjeyya, so tatonidānaṁ maraṇaṁ vā nigaccheyya maraṇamattaṁ vā dukkhan”ti? Se la prima persona che si è arrampicata sull’albero non scende velocemente, quando quell’albero cade non gli romperebbe la mano, il braccio, o qualche altro arto importante o minore, risultando in morte o sofferenza mortale?”
“Evaṁ, bhante”. “Sì, Signore”
“Evameva kho, gahapati, ariyasāvako iti paṭisañcikkhati: “Allo stesso modo, un discepolo nobile riflette:
‘rukkhaphalūpamā kāmā vuttā bhagavatā bahudukkhā bahupāyāsā, ādīnavo ettha bhiyyo’ti. ‘Con la similitudine dell’albero da frutto, il Buddha ha detto che i piaceri dei sensi danno poca gratificazione e molta sofferenza e angoscia, e sono pieni di svantaggi’.
Evametaṁ yathābhūtaṁ sammappaññāya disvā yāyaṁ upekkhā nānattā nānattasitā taṁ abhinivajjetvā yāyaṁ upekkhā ekattā ekattasitā yattha sabbaso lokāmisūpādānā aparisesā nirujjhanti tamevūpekkhaṁ bhāveti. Avendo visto ciò secondo realtà con comprensione corretta, rifiuta l’equanimità basata sulla diversità e sviluppa solo l’equanimità basata sull’unità, dove ogni tipo di attaccamento ai piaceri materiali del mondo cessa senza che ne rimanga nulla.
Sa kho so, gahapati, ariyasāvako imaṁyeva anuttaraṁ upekkhāsatipārisuddhiṁ āgamma anekavihitaṁ pubbenivāsaṁ anussarati, Supportato da questa purezza suprema di consapevolezza ed equanimità, quel discepolo nobile ricorda i suoi molti tipi di vite passate.
seyyathidaṁ—ekampi jātiṁ dvepi jātiyo …pe… iti sākāraṁ sauddesaṁ anekavihitaṁ pubbenivāsaṁ anussarati. Cioè, una nascita, due nascite, tre nascite, quattro nascite, cinque nascite, dieci nascite, venti nascite, trenta nascite, quaranta nascite, cinquanta nascite, cento nascite, mille nascite, centomila rinascite; molte ere di formazione, molte ere di dissoluzione, molte ere di formazione e dissoluzione … si ricorda i suoi molti tipi di vite passate, nei particolari e nello specifico.
Sa kho so, gahapati, ariyasāvako imaṁyeva anuttaraṁ upekkhāsatipārisuddhiṁ āgamma dibbena cakkhunā visuddhena atikkantamānusakena satte passati cavamāne upapajjamāne hīne paṇīte suvaṇṇe dubbaṇṇe sugate duggate …pe… yathākammūpage satte pajānāti. Supportato da questa purezza suprema di consapevolezza ed equanimità, quel discepolo nobile, con chiaroveggenza purificata e sovrumana, vede gli esseri viventi morire e rinascere; inferiori e superiori, belli e brutti, in un bel posto o un brutto posto. … Comprende come gli esseri viventi rinascono secondo le proprie azioni.
Sa kho so, gahapati, ariyasāvako imaṁyeva anuttaraṁ upekkhāsatipārisuddhiṁ āgamma āsavānaṁ khayā anāsavaṁ cetovimuttiṁ paññāvimuttiṁ diṭṭheva dhamme sayaṁ abhiññā sacchikatvā upasampajja viharati. Supportato da questa purezza suprema di consapevolezza ed equanimità, quel discepolo nobile realizza la libertà incorrotta della mente e la libertà attraverso saggezza in questa stessa vita, e dimora avendo raggiunto ciò con la propria conoscenza diretta grazie all’eliminazione dei contaminanti.
Ettāvatā kho, gahapati, ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo hoti. Questo è il dare un taglio agli affari sotto ogni singolo aspetto nell’addestramento nobile.
Taṁ kiṁ maññasi, gahapati, Cosa ne pensi, laico?
yathā ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo hoti, api nu tvaṁ evarūpaṁ vohārasamucchedaṁ attani samanupassasī”ti? Ti ritieni uno che ha dato un taglio agli affari in modo comparabile al dare un taglio agli affari sotto ogni singolo aspetto nell’addestramento nobile?”
“Ko cāhaṁ, bhante, ko ca ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedo. “Chi sono io rispetto a chi ha dato un taglio agli affari sotto ogni singolo aspetto nell’addestramento nobile?
Ārakā ahaṁ, bhante, ariyassa vinaye sabbena sabbaṁ sabbathā sabbaṁ vohārasamucchedā. Sono lontano da ciò.
Mayañhi, bhante, pubbe aññatitthiye paribbājake anājānīyeva samāne ājānīyāti amaññimha, anājānīyeva samāne ājānīyabhojanaṁ bhojimha, anājānīyeva samāne ājānīyaṭhāne ṭhapimha; Signore, pensavo che gli erranti delle altre religioni fossero dei purosangue, e li nutrivo e vestivo di conseguenza, ma in realtà non erano dei purosangue.
bhikkhū pana mayaṁ, bhante, ājānīyeva samāne anājānīyāti amaññimha, ājānīyeva samāne anājānīyabhojanaṁ bhojimha, ājānīyeva samāne anājānīyaṭhāne ṭhapimha; Pensavo che i monaci non fossero dei purosangue, e li nutrivo e vestivo di conseguenza, ma in realtà erano dei purosangue.
idāni pana mayaṁ, bhante, aññatitthiye paribbājake anājānīyeva samāne anājānīyāti jānissāma, anājānīyeva samāne anājānīyabhojanaṁ bhojessāma, anājānīyeva samāne anājānīyaṭhāne ṭhapessāma. Ma ora capisco che gli erranti delle altre religioni non sono dei purosangue, e li nutrirò e vestirò di conseguenza.
Bhikkhū pana mayaṁ, bhante, ājānīyeva samāne ājānīyāti jānissāma, ājānīyeva samāne ājānīyabhojanaṁ bhojessāma, ājānīyeva samāne ājānīyaṭhāne ṭhapessāma. E ora capisco che i monaci sono dei purosangue, e li nutrirò e vestirò di conseguenza.
Ajanesi vata me, bhante, bhagavā samaṇesu samaṇappemaṁ, samaṇesu samaṇappasādaṁ, samaṇesu samaṇagāravaṁ. Il Buddha mi ha ispirato ad avere amore, fiducia, e rispetto per gli asceti!
Abhikkantaṁ, bhante, abhikkantaṁ, bhante. Eccellente, Signore! Eccellente!
Seyyathāpi, bhante, nikkujjitaṁ vā ukkujjeyya, paṭicchannaṁ vā vivareyya, mūḷhassa vā maggaṁ ācikkheyya, andhakāre vā telapajjotaṁ dhāreyya, ‘cakkhumanto rūpāni dakkhantī’ti; evamevaṁ kho, bhante, bhagavatā anekapariyāyena dhammo pakāsito. Immagini che qualcuno raddrizzi ciò che è capovolto, o riveli ciò che è nascosto, o indichi il cammino a chi si è perso, o regga una lampada al buio pensando: ‘Che chi ha occhi buoni possa vedere forme’. Allo stesso modo il Signor Gotama ha reso l’insegnamento chiaro in vari modi.
Esāhaṁ, bhante, bhagavantaṁ saraṇaṁ gacchāmi dhammañca bhikkhusaṅghañca. Prendo rifugio nel Buddha, nell’insegnamento, e nella comunità monastica.
Upāsakaṁ maṁ bhagavā dhāretu ajjatagge pāṇupetaṁ saraṇaṁ gatan”ti. Da oggi in poi, che il Buddha si ricordi di me come un discepolo laico che ha preso rifugio a vita”.
Potaliyasuttaṁ niṭṭhitaṁ catutthaṁ.